Nella Sala Blu 1 di MiCo – Milano Congressi, lunedi’ 9 febbraio nell’ambito di Identità Golose, si terrà  IDENTITÀ PICCANTI, con la presenza di importanti chef, dall’Italia e dal mondo, che proporranno la loro cucina all’insegna della creatività e della semplicità in cucina. Con un tocco di piccante, naturalmente!

Chef da tutto il mondo per  Identità Piccanti - Sapori News Enrico Panero (Da Vinci Eataly Firenze): essenzialità e purezza nella lavorazione delle materie prime

Enrico Panero è un piemontese di Savigliano in provincia di Cuneo dove è nato nel gennaio del 1987. Dopo avere conseguito il diploma all’Istituto Alberghiero G. Donadio di Dronero in provincia di Cuneo, si sposta a Borgomanero nel Novarese per lavorare da Pinocchio alias Piero Bertinotti («Piero è un grande») e poi passare a Milano da Aimo e Nadia Moroni, un luogo magico per chi vuole sapere tutto sui prodotti. Così nel 2006 quando è da Ugo Alciati al Guido di Pollenzo. Una puntata a Lanzarote al ristorante Isla de Lobos sotto la guida di Denis Cappellino e nel 2007 Panero, anni a quel punto 20, imbocca un sentiero che sta percorrendo tuttora. Oscar Farinetti apre a Torino la madre di tutti i punti Eataly ed Enrico è nella brigata di GuidoperEataly – Casa Vicina. Seguiranno Eataly Tokyo e Eataly New York, ma anche una sosta nella cucina di Mark Ladner a Manhattan, ristorante Del Posto, e in quella di Victor Arguinzoniz all’Asador Etxebarri, nel paesino di Atxondo vicino Bilbao: «L’esperienza da Victor mi ha cambiato la vita per la ‘semplicità’ con la quale lavora la materia prima». E, si badi bene, in questo caso semplicità sta per essenzialità, è sinonimo di purezza, la stessa che cerca nei suoi piatti adesso che è l’executive chef del Da Vinci, il ristoro di Eataly Firenze.

Dylan Jones e Bo Songvisava: l’unica insegna al mondo di cucina thai a poter vantare la stella Michelin

La tailandese Duangporn Songvisava (per tutti “Bo”) e l’australiano Dylan Jones, oggi uniti nel lavoro e nella vita, si sono conosciuti al Nahm di Londra, appena dietro ad Hyde Park, quando il ristorante dell’altro australiano David Thompson era l’unica insegna al mondo di cucina thai a poter vantare la stella Michelin. La filosofia di Thompson è stata per anni una bussola importante per i due ragazzi, una fonte inesauribile di informazioni sugli ingredienti e le tecniche di un paese gastronomicamente in grande ascesa. Nel 2009, con lo stesso Thompson che trasferisce il Nahm a Bangkok, i due ragazzi decidono che è il momento di aprire la loro insegna, nella stessa capitale tailandese. In pochi anni il Bo.lan (fusione di Bo più il “lan” di Dylan) si afferma come uno dei migliori ristoranti di cucina tailandese contemporanea, per esempio attestandosi nella 36ma posizione della 50Best Asia 2013. Il ristorante, che deve molto al sapere della cellula locale di Slow Food, utilizza solo prodotti freschi e stagionali e lavora molto per tutelare e promuovere le biodiversità locali e i prodotti di nicchia, rispettando in maniera ferrea le stagionalità e i cicli della natura. Bo e Dylan hanno una passione per le ricette antichissime, magari scovate in vecchi manoscritti o tramandate nel corso dei secoli dalla tradizione orale. Tutto questo conduce a un menu dai sapori decisi, sorprendenti e mai banali.

Chef da tutto il mondo per  Identità Piccanti - Sapori News Haruo Ichikawa e Lorenzo Lavezzari (Iyo Milano): la tradizione asiatica si fonde con quella dell’Italia

È Haruo Ichikawa, da 24 anni in Italia, al timone della cucina di Iyo di Milano, affiancato da Lorenzo Lavezzari. Classe 1954, ha un curriculum importante: dopo la formazione fra Tokyo e Los Angeles, è stato nelle cucine dei più importanti ristoranti giapponesi di Milano sino ad approdare nel 2008 all’Iyo. La sua abilità, unita alla bravura del giovane patron Claudio Liu, è stata determinante per la scalata al vertice: anche quest’anno, la Guida Milano del Gambero Rosso gli ha assegnato tre mappamondi, il top assoluto. Ma la peculiarità di IYO (1 stella Michelin) è nella diversa offerta “fusion” che fonde la tradizione asiatica con quella del Bel Paese, risultato dell’azzeccata collaborazione tra Lorenzo Lavezzari (cuoco ai fornelli) e l’esperto Haruo Ichikawa (che officia il banco crudi e coordina i sushi men), tra i quali è avvenuto un prezioso scambio di idee gastro-culturali che hanno dato un impulso qualitativo e distintivo alla cucina.

Michele Biagiola (Le Case, Macerata) e l’attenzione verso le erbe, più che agli ortaggi

Classe 1973, Michele Biagiola, esperienze curricolari importanti (Veyrat, Leemann), pone al centro del proprio cosmo gastronomico le erbe, ancor più che gli ortaggi. I suoi piatti, lungi dall’essere affetti dalla sindrome dell’alberello, sfruttano le erbe come un filtro ottico per vedere ingredienti, per il resto abbastanza usuali, sotto luce nuova, senza che ciò dia luogo ad effetti di copertura eccessiva degli elementi principali. l legame con il suo territorio, la creatività, il divertimento e l’equilibrio sono le caratteristiche dello chef Michele Biagiola a cui la titolare Francesca Giosuè del Le Case, che insieme a lui dirige il giovane staff, ha saputo dare spazio riconoscendone l’estro e condividendone la visione.

Chef da tutto il mondo per  Identità Piccanti - Sapori News Caterina Ceraudo (Dattilo Crotone) e l’attenzione per ogni singolo ingrediente

27 anni, non ancora trentenne è diventata la chef di Dattilo, il ristorante gestito dalla sua famiglia che si trova a Strongoli in provincia di Crotone. Si è formata alla Scuola di Alta Formazione di Niko Romito. Dice Caterina Ceraudo che “L’insegnamento più importante che ho raccolto nei mesi che ho passato alla Scuola, e che porterò sempre con me, è il rispetto del cibo e della sua provenienza, della sua natura, dal momento della nascita e crescita di ogni singolo ingrediente, fino alla trasformazione in piatto e quindi di ciò che mangiamo e mangeranno i nostri clienti. Quel che ho capito è che per me è fondamentale l’utilizzo di pochi ingredienti e l’esaltazione di sapori semplici.”

Chef da tutto il mondo per  Identità Piccanti - Sapori News Bryce Shuman del Betony 3 stelle dal New York Times e nominato “Restaurant of the Year” in un solo anno di attività

Bryce Shuman, figlio di un papà buongustaio e di una madre antropologa culturale con una laurea in nutrizione, un lavoro che portava la famiglia a spostarsi nelle zone più inaccessibili del mondo con un imperativo: mangiare local. Cursus honorum dal gradino basso, quello di lavapiatti al Mesh Café di Greenville, NC. Con due esiti: mostrare una certa predisposizione ai fornelli, con la rapida promozione a chef, e conoscere una cameriera, Jen, che sarebbe diventata sua moglie. Nel 2003 il trasferimento a San Francisco per frequentare la California Culinary Academy di giorno, lavorare di notte al Postrio, del famoso chef Wolfgang Puck: lì, grazie al suo primo maestro Jack Yoss, avrebbe imparato i primi segreti della cucina. Sono gli step iniziali di una carriera destinata a toccare presto livelli ben più alti: dopo il Rubicon, sempre nella città californiana, e un lungo giro in Europa, ecco il trasferimento sulla East Coast, dove l’approdo sarebbe stato ben presto l’Eleven Madison Park di Daniel Humm. Lì rimane per 6 anni, ricoprendo tutte le mansioni fino a quella di executive sous chef di Humm; è al suo fianco quando il ristorante consegue le quattro stelle del New York Times, le tre della Michelin e si classifica al decimo posto nella World’s 50 Best Restaurants. Nel maggio 2013 la nuova svolta: con un ex collega dell’Eleven, Eamon Rockey, apre il Betony, a Midtown, sulla 57th tra quinta e sesta: un ristorante informale, con un menu che s’ispira ai sapori familiari, ingredienti del territorio presentati in un foggia moderna. Nel suo primo anno di attività il ristorante ha ricevuto tre stelle dal New York Times, è stato nominato “Restaurant of the Year” da Esquire ed è stato finalista per il titolo di “Best New Restaurant 2014” promosso dalla James Beard Foundation.

Chef da tutto il mondo per  Identità Piccanti - Sapori News I fantastici cocktail di Carlo Liuzzi (Farmacia Balboa, Tricase, Lecce)

Da agosto 2014 collabora con la neonata Farmacia Balboa, cocktail bar di tendenza voluto da Taylor Hackford, regista di Ufficiale e Gentiluomo, che vive dalle parte di Tricase, e da Francesco Winspeare, anima di Castel di Salve e fratello di Edoardo, regista di storie e passioni pugliesi. Liuzzi utilizza lo hebanero per dare un tocco piccante ai propri cocktail «che si basano su concetti semplici. Twisto i grandi classici». Collabora inoltre come consulente beverage per Stekkolandia (franchising a livello nazionale), Dolce Natura di Padova e Tropitalia per quanto concerne l’utilizzo delle polpe tropicali in ambito cocktail bar.

Gianluca Fusto un pasticciere col pedigree dello chef che adora il cacao

Gianluca Fusto è un pasticcere bonario, giocoso, gaudente, ma al tempo stesso scientifico, riflessivo, ipertecnico. E soprattutto innamorato del cacao, il suo ingrediente feticcio. Milanese, una trentina di anni fa, ha fatto l’alberghiero Carlo Porta poi da Aimo Moroni, padre spirituale e interlocutore di uno scambio mai interrotto. Quindi un pasticciere col pedigree dello chef, la sua sensibilità per i grandi ingredienti e la sua fantasia gustativa spiazzante. A completare il bagaglio tecnico-professionale ci hanno pensato Enrico Parassina, Yann Duytsche e Frédéric Bau della grande scuola Valrhona di Tain l’Hermitage, dove ha lavorato a lungo nelle vesti di unico professore straniero, approfondendo la conoscenza ergonomica del gusto e contraendo, gomito a gomito con chimici, fisici e ingegneri alimentari, un lessico esoterico che parla di reologia e cromatologia. Più gli stimoli di una biblioteca composta di oltre 400 volumi e le suggestioni raccolte viaggiando in tutto il mondo, lungo la strada delle spezie, dell’arte e del cacao. Cosicché i suoi dessert possono citare con nonchalance i quattro elementi di presocratica memoria come le ultime sperimentazioni dell’arte contemporanea. Oggi la sua creatività ha trovato il megafono migliore nella società Gianluca Fusto Consulting, che offre corsi su misura e consulenze in giro per il mondo, da Parigi a Dubai. Il suo è un agit prop essenzialista, che parla di dessert sempre più semplici, spesso imbastiti su una triade di elementi, gusti tendenti al massimo nitore e forme epurate per scardinare l’inerzia dei cliché.