Il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha 80 anni e non li dimostra. Per celebrare la ricorrenza, amministratori del Consorzio e di caseifici, casari ed esponenti del mondo agricolo ed agroalimentare hanno ricordato, le tappe che hanno segnato il cammino del Consorzio, fondato il 26 luglio 1934, quando i produttori del formaggio, chiamato con i nomi di “Parmigiano” e “Reggiano”, fondarono il “Consorzio Volontario Interprovinciale Grana Tipico”.

Di recente, nel corso di una serata dedicata ed allietata da un concerto proposto dalla Banda Osiris, tutto il mondo caseario delle Provincie di Reggio Emilia e di Parma, è convenuto a Reggio Emilia per tributare il giusto riconoscimento al raggiungimento dell’importante ricorrenza. Nel corso della serata, cui ha partecipato anche il presidente onorario del Consorzio, l’on. Giampaolo Mora, sono stati premiati il più anziano e il più giovane casaro in attività: Giovanni Barabaschi, del 1928 e Francesco Fava, nato nel 1990. Un premio che ha inteso sottolineare esplicitamente il valore centrale del “fattore umano”, per un prodotto del tutto artigianale e naturale come il Parmigiano Reggiano, così come il valore di un’esperienza che da secoli si tramanda tra generazioni.

Così nacque allora, per differenziare il prodotto da altri formaggi grana prodotti nell’Italia del nord, il marchio a fuoco che andò ad imprimere, su ogni forma, la scritta “Parmigiano Reggiano” (i “puntini” arriveranno nel 1964), completando così il percorso di tutela che già aveva visto particolarmente attive le province di Reggio Emilia e di Parma. E proprio a Parma già nel 1612, il duca Ranuccio I Farnese, ebbe ad ufficializzare la denominazione del formaggio “di Parma”, per tutelare commercialmente quello che, in embrione era già da secoli il formaggio che assumerà poi la denominazione “Parmigiano Reggiano, dai prodotti del piacentino e del lodigiano.

“La nascita del Consorzio – ha ricordato tra l’altro, il presidente dell’Ente di tutela, Giuseppe Alai – fu segno di una coesione tra i produttori capace di scavalcare i confini geografici in nome di un comune interesse, che da allora permane e si rinnova in presenza di un sistema che coinvolge quasi 3.500 allevamenti, oltre 360 strutture di trasformazione e vale poco meno di 2 miliardi, assicurando reddito e lavoro ad oltre 20.000 operatori”.

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