La risina: il piccolo fagiolo umbro dal grande futuro - Sapori News L’Umbria gioca, tra le Regioni italiane che competono per la presenza di legumi in cucina, un ruolo di prim’ordine. Cicerchie, lenticchie (quella di Castelluccio di Norcia è salita tanto agli onori delle cronache da essersi conquistata l’IGP) e ceci quelli comunemente noti.

Diffusa solo nell’areale di Civita di Cascia, la roveja (o roveglia, dalla forma di piccolo pisello, possiede colore irregolarmente nocciola e sapore vagamente agro e amarognolo) è altrettanto sconosciuta quanto la risina.

Ne gareggiano per la paternità, o meglio la riscoperta, Assisi e Spello. Certo non sarà la risina a sciogliere gli antichi vincoli che tengono legate le due cittadine (del Santo d’Assisi e d’Italia il primo discepolo fu proprio Beato Andrea Caccioli di Spello).

Un fagiolo che si credeva estinto, coltivato fino a sessant’anni fa ai piedi del Subasio e si dice, come spesso accade quando non si possiedono fonti documentali  inconfutabili, ritrovato da un appassionato agricoltore casualmente in un fiasco. Appartiene la risina alla famiglia dei cosiddetti fagioli con l’occhio, presente lungo tutta la penisola prima dell’arrivo dei fagioli dall’America.

Un legume italico quindi, dalle ottime predisposizioni ad essere utilizzato in cucina. Le piccole dimensioni (ed il colore) che lo fanno assomigliare a poco più d’un chicco di riso, la buccia pressoché inesistente e il sapore deciso depongono a favore di un suo rapido rilancio. Se si aggiunge che la risina non ha necessità di lunghe cotture (bastano 20 minuti) e preammollo si capisce quanto potrà diventare uno degli oggetti cult dei cuochi negli anni a venire.

A partire dal primaverile condimento con olio extravergine d’oliva o al centro dell’attenzione di gustose minestre durante i freddi giorni di fine inverno.