Roja, il Rossese di Dolceacqua “fatto a mano”, nato con l’obiettivo di elevare la denominazione Dolceacqua DOC è il nuovo vino di Roberto Rondelli.

Un mestiere, quello del vignaiolo, che si tramanda da generazione in generazione, oppure, come nel caso di Roberto, inizia con l’intuizione di unire natura e intervento dell’uomo, per creare un prodotto buono  e sostenibile. 

Siamo nell’estremo Ponente Ligure, a pochi chilometri dal confine francese, nel comune di Camporosso.
Qui dagli anni 2000, appena finite le superiori, Roberto Rondelli si adopera per piantare le sue vigne laddove un  tempo erano le vigne del nonno.

È nel vigneto di Migliarina, in un totale di 3.5 ettari, che Roberto vede il coronamento del suo sogno, per rivendicare la potente bellezza di questa terra.
Dal 2016 si impegna in
studi e ricerche per selezionare le parti di vigna migliori al fine di creare il suo top gamma di azienda: il Roja, Rossese di Dolceacqua Superiore che finalmente esce con l’annata 2022.

«Il Roja è la sintesi del mio percorso come vignaiolo, nato con l’obiettivo di rivendicare le potenzialità della Liguria di ponente e di questo vitigno.
Un vino pensato per avere una grande propensione
all’invecchiamento, coniugando struttura e armonia.
La base
tannica è importante ma setosa, ho estratto la bellezza del Rossese, il livello alcolico abbastanza elevato e le dolcezze avvolgenti fanno tendere verso una interminabile profondità. Quello che ricerco è l’emozione».

Il Rossese è un vitigno difficile da coltivare, vista la buccia dell’uva assai fine e la naturale predisposizione a non avere una resa costante nel tempo.

Questa varietà, infatti, necessita di suoli ben drenati e zone ben aerate, fattori che aiutano a prevenire le patologie fungine dovute all’umidità.

Migliarina, nomeranza (dal dialetto ligure “cru”) del Dolceacqua, si trova a 350 metri sul livello del mare, l’esposizione è a Nord e la matrice geologica è la più vocata per questo vitigno: la marna azzurra (argille di Ortovero) con affioramenti di conglomerati di Montevilla.
Inoltre si trova nella
valle Roja, dove le forti correnti si insinuano dalle Alpi mitigando le temperature e creando un microclima perfetto per una maturazione più lenta delle uve.

La resa nelle vigne usate per il Roja è di poco superiore al mezzo chilo di uva per pianta, quindi ancora più limitata di quella comunemente valida per il Rossese.

La potatura è ad alberello, con pochi speroni produttivi.Roja, il Rossese di Dolceacqua della cantina di Roberto Rosselli - Sapori News

Sostenibilità e manualità nella produzione del Roja 

In vigna tutto è svolto in maniera sostenibile e nel rispetto dell’ambiente.

In cantina la parola d’ordine è “semplicità”, quello che si predilige è un approccio “a mano”.

«I nostri sensi sono gli strumenti più efficienti e tracciano la strada per l’eccellenza».

Le fermentazioni sono in piccole vasche per eseguire le follature a mano, la svinatura viene fatta senza l’ausilio di strumenti meccanici, al fine di agire nel modo più delicato possibile.

Roja, il Rossese di Dolceacqua della cantina di Roberto Rosselli - Sapori News Il vino passa poi in barrique, alcune molto usate, e riposa qui per un anno prima di venire imbottigliato, verso settembre dell’anno successivo alla vendemmia.
Trascorre alcuni mesi di affinamento in bottiglia
prima di essere rilasciato in commercio.

Il Roja è pensato per essere il prodotto che racchiude tutte le caratteristiche di questo territorio unico che è la Liguria di ponente e questo vitigno particolarissimo che è il Rossese.

La produzione del Roja 

Le bottiglie prodotte con la prima annata in commercio, la 2022, sono state 900. Nel 2023 la produzione sarà invece di 2500 bottiglie.

La valorizzazione del territorio del Roja  

«Penso che in un territorio ricco, complesso e dalla storia millenaria come quello italiano, la strategia di noi produttori liguri debba passare attraverso la conoscenza delle denominazioni più importanti, che hanno saputo valorizzare i territori arrivando alla consapevolezza che la bellezza che ci circonda può essere trasmessa coi nostri vini.
Valorizzare sempre di più
il paesaggio, partire dalla terra in senso stretto, non per omologare ma per fare l’esatto opposto: definire il carattere atemporale, inimitabile e la riconoscibilità dei nostri vini».