La cantina Michele Satta riceve un  nuovo prestigioso riconoscimento il Piastraia 2022 è stato inserito da James Suckling, uno dei critici enologici più autorevoli a livello internazionale, nella Top 100 dei migliori vini italiani

Questo risultato conferma ancora una volta il valore del lavoro svolto dalla storica azienda bolgherese, fondata nel 1983 da Michele Satta e oggi guidata dal figlio Giacomo. 

Filosofia dell’Azienda Michele Satta

La filosofia dell’Azienda Michele Satta trae origine dalla vita del suo fondatore: una passione sconfinata per l’agricoltura che impara a 360 gradi durante la sua prima  esperienza come operaio  nella fattoria di Castagneto  Carducci.
Impara il ciclo della pianta ,che la terra diventa dura quando soffia il  vento, che ci sarà brutto tempo quando le rondini volano basse, che in certe zone del campo le piante stentano ed in altre no; impara la stretta relazione tra la terra e l’intelligenza, l’osservazione, la fisicità e la forza dell’uomo che la lavora.

Tra il 1983 ed il 1987 questa passione si focalizza su un unico prodotto, il vino, perché “il vino è l’uva che si trasforma, che diventa un’altra cosa, straordinariamente più suggestiva e più buona e diversa nel tempo, che ti inebria un po’ e ti apre uno spazio del cuore”.

Non solo, il vino è anche espressione unica di un territorio, di una vigna, del tipo di uva che vi è piantata, del tempo e del modo in cui l’uomo vi ha dedicato  passione,  intuizione ed  errori: come ha piegato un archetto, quante gemme ha lasciato, come ha  lavorato il terreno.

Il vino è una poesia, è una cosa fatta da un uomo in un posto, che non si ripeterà mai più.

Ecco perché l’identità di un vino è così importante ed ecco perché tutto il lavoro, di cura, di ricerca, di osservazione e di sperimentazione, compiuto negli anni da Michele e più recentemente dal figlio Giacomo, ha avuto lo scopo di rendere, quanto più fedelmente possibile, l’anima di Bolgheri che è assieme complessità e freschezza, equilibrio e forza controllata.

Il giovane Giacomo Satta crede altresì che il vino debba essere un prodotto fruibile ed  avvicinabile da tutti i  consumatori, apprezzabile sia da un palato internazionale sia da quello più ricercato.

Il vino nutre corpo e anima, ma anche arte e bellezza sono nutrienti indispensabili, ed è per  questo che in azienda si organizzano ogni anno eventi, mostre, concerti e spettacoli teatrali.

Intervista a Giacomo Satta

“Io cambio con l’azienda, l’azienda cambia con me”.

Giacomo Satta non ha dubbi sul vino che vuole fare e sul suo approccio sia dal punto di vista agronomico che in cantina.

Gli insegnamenti del padre, il vignaiolo Michele Satta, sono la base  della sua filosofia produttiva, ma l’obiettivo è di andare oltre,  portando la propria idea in ogni bicchiere.

I vini di Giacomo – che conduce dal 2017 l’azienda in piena autonomia – sono oggi esperienze antropologiche nelle quali è racchiusa l’anima del vignaiolo ed esse cambiano e devolvono insieme  a lui.

Il padre è tra i fondatori della DOC Bolgheri ai tempi in cui l’ombelico del mondo era ancora attaccato a doppio filo al “Paese dei Lumi”.
Ma per Giacomo è necessario «pensare che l’autorevolezza acquisita dai migliori vini toscani della contemporaneità vada estraniandosi sempre più da quelli che fino a poco tempo fa erano indicate come le imprescindibili connotazioni di qualità.
Questo perché la caratterizzazione, che io pongo accanto alla qualità,non  necessita di parametri “prestazionali” a supporto».

Dinamicità, confronto, sperimentazione. Queste le parole chiave nella formazione del giovane Satta.

«Ho avuto l’opportunità di studiare all’estero, fare viaggi e immergermi in realtà ben diverse dalla nostra. Ho capito che le aziende vinicole non possono stare ferme,  devono evolversi continuamente perché fare vino è un’arte e come essa ha i suoi periodi e le sue  correnti. Diventa, quindi, fondamentale  la mano di chi forgia l’opera e la capacità di imprimere la propria visione in qualcosa di concreto»..

Come si fa a mantenere un atteggiamento aperto al confronto con realtà diverse?

«Penso che dobbiamo essere molto autocritici ed interrogarci sulla strada che vogliamo percorrere, capendo se quella è rapportabile alla natura in cui siamo immersi. Poi, sperimentare, provare e piano piano esprimere in concreto quello che avevamo immaginato».

Quando tuo padre ti ha lasciato campo aperto in vigna e in cantina, quale è stato il punto di partenza per te?

«L’espressività. Volevo che i miei vini facessero vibrare l’anima di chi assaggia, fargli vivere un’esperienza, accompagnarlo nella mia visione, sempre dettata da un’emozione. Per farlo ho fatto vari passaggi».

Quale è stato il primo intervento che hai fatto?

«Sono partito dalla vigna. Ho convertito tutti i vigneti ad archetto anziché a cordone.
In questo modo abbiamo meno stress delle piante e, con rese più basse, si ottengono frutti più concentrati»

L’intervento più importante in vigna?

«Senz’altro l’approccio alla gestione biodinamica dei suoli. Non siamo totalmente biodinamici, ma abbiamo ripreso alcune tecniche che trovo utili per le piante. Il terreno è un essere mutevole  e ogni anno è bisognoso di attenzioni diverse.
Ad esempio, in un’annata piovosa e fredda, il terreno è gestito con inerbimenti; mentre in annate secche è necessario un lavoro di rimaneggiamento della terra.

Inoltre, ho iniziato a praticare il sovescio. Il lavoro in vigna è la  riprova che non esistono regole fisse, ma esiste l’osservazione.
È la realtà che abbiamo di fronte che deve convincerci e non autoconvincerci. Sono importanti la predisposizione d’animo all’ascolto, il rispetto e l’umiltà»

In cantina, invece, come si è tradotto il tuo intervento?

«Avendo a che fare con tanti vitigni, quali Sangiovese, Syrah, CabernetFranc, Merlot, Cabernet Sauvignon, Teroldego, Vermentino e Sauvignon, è necessario uno studio e ricerca  continui, al fine di trovare per ogni vitigno la strada più espressiva e puntuale. In generale, ho ripreso  il lavoro di mio padre, facendo alcuni cambiamenti, ma è a lui che si deve la grande intuizione nella produzione dei nostri vini.

In particolare, per andare incontro a questa idea di massima “espressività” di un vino, ho ridotto il numero di etichette e cambiato le tecniche di lavorazione.

Quali tecniche di lavorazione hai modificato per raggiungere la massima espressività del vino?

«Ho rivisto le tempistiche di affinamento, di fermentazione. Oggi, inoltre, ogni vino ha un materiale di affinamento diverso e una gestione di fermentazione differente. Poi, ho introdotto anche alcune vinificazioni con i raspi.
Sicuramente in questo  modo il  lavoro si complica, ma  è estremamente più soddisfacente.

Svelaci un tuo segreto da vignaiolo

«Per me fondamentale è l’assaggio. Il mio obiettivo è quello di avere un “palato internazionale”, ma ci vuole tempo per affinarsi la bocca. Tutt’ora sono molto in evoluzione»

Come vedi l’azienda Michele Satta oggi?

«È cambiata nella sua direzione. Adesso c’è una persona che ha la sua sensibilità, i suoi gusti, i suoi input, dovuti da  viaggi, assaggi e incontri.  Io cambio con l’azienda, l’azienda cambia con me.
Oggi l’azienda è  completamente Giacomo Satta»