VINI DI NATALE 2013 di Riccardo Lagorio - Sapori News Agricoltura responsabile, biologica, sostenibile. E, perché no, vitigni autoctoni. Una serie di aggettivazioni che oggi trovano sempre più terreno fertile in consumatori attenti.
Ma veramente il consumatore riesce a districarsi nella giungla delle guide? E soprattutto, dalla parte dei produttori, spesso mancano quelle competenze e conoscenze che l’accesso a quelle guide richiede (invio di campioni, ufficio stampa per fare alcuni esempi).

Noi riteniamo che per fare ripartire il settore del giornalismo legato al cibo si debba cambiare registro: meno cuochi che vanno in tivù, più cuochi che vanno personalmente a fare la spesa (ne conosco davvero pochi: la stragrande maggioranza si affida a distributori che prendono gli ordini via telefono e poi consegnano massivamente il tutto).

Ciò servirebbe a rendere meno pigri anche noi giornalisti, indaffarati a parlare dei soliti prodotti (di cui spesso disconoscono l’origine) e dei soliti vini.
Si aprirebbero le porte ad un giornalismo di cronaca, di ricerca, di tempi trascorsi lontani dalle città e dove invece i prodotti della terra nascono.
Una cosa è conseguenza dell’altra: meno palcoscenico, più conoscenza del mondo reale.

Iniziamo quindi un Giro d’Italia diverso, che abbiamo voluto suddividere in vini bianchi, rosati e rossi, spumeggianti.
La partenza ideale è Venezia, anzi l’isola di Sant’Erasmo, per secoli considerata l’orto della città. Nel Cinquecento era assai rinomato il vino che si produceva su queste motte, sapido e longevo.
All’inizio degli anni Duemila Michel Tholouze, creatore di riviste e canali televisivi, si innamora dell’isola e raccoglie informazioni presso i contadini locali sulla tradizione agricola.
La scelta cade sul reimpianto della vite, franca di piede, nella laguna ricca di terreni argillosi. Malvasia istriana, Vermentino e Fiano, tra vitigni italici che insieme procurano profumi, acidità, struttura e sapidità.
Niente affinamento in barrique, niente irrigazione neppure di soccorso, uve raccolte tassativamente a mano nei quattro ettari e mezzo vitati.
Essenziale l’etichetta, che riporta il termine ORTO Venezia, lo stesso nome con cui è stata battezzata la cantina (telefono 3488727500).

Dalla laguna al mare. Senti oh!, uve Ansonaca in purezza dell’Azienda Agricola Fontuccia di Isola del Giglio (GR; telefono 3886078375).
Il nome è un’espressione tipica gigliese per indicare meraviglia e ironia insieme. L’intento è proprio quello di  suscitare meraviglia con un vino secco e ammandorlato come il vento di Mezzogiorno.
Tardivo ma non tardo pare essere un altro motto. In verità si tratta anche di un’etichetta dell’Azienda Vitivinicola Santa Barbara, di Barbara nell’Anconetano (telefono 0719674249).
Il vino proviene da uve Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC raccolte a sovramaturazione avvenuta in pianta in contrada Nidastore.
L’annata 2004 è stata aperta a metà giugno 2013 e si presentava di colore giallo intenso con riflessi dorati e dagli esuberanti profumi di frutta tropicale e spezie.
Alla bocca ogni sorso si presenta ricco di frutta e dal finale delicatamente amarognolo e lungo.
Si tratta di un vino speciale a partire dall’etichetta, adatto a numerose pietanze, che siano primi o secondi, ma anche formaggi stagionati e piccanti. Tra i vini di mezzo (definiti maldestramente così per distinguerli da bianchi e rossi) che ci hanno particolarmente colpito spicca il rosato da Nero di Troia I Pitappi dell’Azienda Agricola Pirro Stefano Maria di Troia (FG, telefono 0881977233).
A conduzione biologica, la fattoria produce anche grano duro in Capitanata. Nel casolare ristrutturato finemente, l’annata 2011 si ricorda per il colore rubino chiaro con riflessi corallo, bouquet intenso e fruttato con note di fragola e ciliegia. Il palato è fresco, fruttato, gradevolmente acidulo, dal finale lungo e asciutto.
Lo abbiamo incontrato ottimo come aperitivo e per antipasti di mare, minestre leggere, pesce al forno.
La parte settentrionale del Foggiano è però zona anche di un altro vitigno diffuso nel Centro-Sud, il Montepulciano. Centrogallo è una località di Lucera, splendida cittadina distesa intorno e sotto alla fortezza Svevo-Angioina. Centrogallo è anche il prodotto di Marco Cocca, che raccoglie manualmente le uve e ne fa uno straordinario vino il cui colore, profumo e sapore rispecchiano le caratteristiche della terra arida e mediterranea intorno.

Toscano pure il Carmina Arvalia, IGT Toscana, dell’Azienda Agricola Simonetti in Castagneto Carducci (LI; telefono 0565763787).
Nasce in un rettangolo di circa 1 ettaro sdraiato alle pendici della collina di Segalari, all’interno di una delle più famose zone viticole d’Italia, la DOC Bolgheri, dalla tenacia di Maria Chiara Perrone.
Giosuè Carducci amava concedersi i vini dello stesso podere, di Giovanni Trinci, avo degli attuali proprietari ed arguto fattore definito “intenditor di vini e ribottista eccelso”, come descritto nella elegante etichetta.
La cura e la coltivazione del terreno e delle piante esclude diserbanti, concimazioni chimiche e trattamenti sistemici, a favore esclusivo dell’estirpazione e del taglio delle erbe, dei concimi organici (favino) e organico-minerali, nonché di trattamenti di rame e zolfo di superficie.
A completamento del ciclo produttivo e per l’arricchimento del terreno è stato scelto l’utilizzo agronomico dei sottoprodotti della vinificazione (vinacce e fecce) che vengono dispersi sui terreni dell’azienda.
La raccolta e la cernita del frutto, che viene lavorato in azienda appena staccato dalla vite in modo da preservarne le assolute integrità e sanità, sono manuali.
Tutto ciò procura un vino di corpo, generoso e rotondo, nobile al naso e purpureo agli occhi grazie ad uve Merlot (45%), Cabernet Sauvignon (20%), Sangiovese (20%), Cabernet Franc (10%) e un pizzico di Shiraz (5%).
Un mix esplosivo di piacere. Relativamente giovane è l’azienda di Antonio Ligabue di Capo di Ponte, in Valcamonica (telefono 3460119687) dove la riscoperta della viticoltura è recente.
Poco più di due ettari di terreno dislocati in 5 diversi poderi fra Cerveno e Sellero. Vino da tavola rosso, Merlot in purezza, il Badalisc, che richiama il mitologico personaggio metà uomo metà bestia che esce dai boschi di Andrista la notte del 5 gennaio per raccontare le vicende inconfessabili dei paesani. Genuino, vigoroso, dal colore profondo.
Il criterio di produzione che muove Antonio Ligabue è del resto la realizzazione di prodotti naturali: tutti i trattamenti in vigna sono volutamente privi di fertilizzanti e pesticidi di sintesi, così come gli interventi in cantina hanno abolito l’uso di anidride solforosa ed elaborazioni chimiche.
Dall’uscio dell’azienda escono vini di grande personalità, autentici dell’uvaggio e del territorio che mantengono integro il paesaggio, l’ambiente e la natura.
Uve da agricoltura biologica sono pure quelle raccolte da Luigia Zucchi, un vitigno autoctono conosciuto come Nibiö da a picùla rùsa, con nome commerciale Rugrà, Monferrato rosso DOC 2009 cresciuto sulle colline di Tassarolo (AL, telefono 0143342000).
Lo abbiamo scelto non solo per provenire da un antico vitigno autoctono, ma anche per il suo colore rosso rubino molto intenso, violaceo, dal profumo complesso di frutti di bosco e prugne mature, il gusto piacevole ed intrigante. Magistrale con piatti elaborati e cacciagione.
Tradizionalmente da fine pasto è il Moscato d’Asti DOCG. Il Crivella dell’Azienda Agricola Marco Bianco di Santo Stefano Belbo (CN, telefono 0141847301) gode di un caratteristico microclima, una composizione del terreno particolarissima, e l’attenta selezione all’invaiatura che permette di completare nel modo migliore la maturazione ai pochi grappoli rimasti sui tralci.
Infine una vinificazione artigianale nelle cui fasi mira al massimo rispetto dei mosti, conferisce al vino corposità, cremosità e profumi unici che dalla camomilla e la mandorla si fanno, lievi, in miele ed eucalipto.

E per quanto riguarda la bollicine, nulla di più ricercato, di più realisticamente italico che brindare al nuovo anno con un metodo classico che nasce ad oltre mille metri di quota da uve Prié blanc, biotipo Blanc de Morgex.
A Morgex la fillossera non è mai riuscita ad attecchire ed i ceppi risultano essere franchi di piede.
Il vitigno, cruccio ed orgoglio del curato del paese degli anni Sessanta e Settanta, Alexandre Bougeat, è diventato uno dei simboli regionali.
L’Extra brut della Cave du Vin Blanc de Morgex et de La Salle (AO, telefono 0165800331) subisce la tradizionale rifermentazione in bottiglia del metodo classico mentre il vino base svolge la prima fermentazione in legno grande di rovere e larice e in acciaio.
Il primo dégorgement avviene non prima dei 17 mesi ed il risultato finale è di verde paglierino, trasparente e gioioso, bouquet ampio e minerale, freschissimo, dalle note di cedro ed un lontano sentore di mandorla amara.
Stoffa stretta che solo i vini aristocratici sanno trasmettere.
È questo il vino per il brindisi di fine anno, ma anche per pasteggiare durante le importanti portate delle festività.

Riccardo Lagorio